Quante persone LGBT conoscete nella nostra chiesa? Giudicarle non è accoglierle
Trascrizioni delle riflessioni di Giuliano Vallara pubblicate dalla Diocesi di Parma nel volume “C’è qui una Chiesa giovane”, Atti dell’Assemblea diocesana del 27 aprile 2019, pp.27-28
Giuliano Vallara riprende (ndr nell’Assemblea diocesana di Pama del 27 aprile 2019) alcuni passaggi della lettera pastorale (diocesana del vescovo Solmi di Pama): si parla di giovani che ci stanno a cuore, giovani oggetto di discriminazione per l’orientamento sessuale.
Più avanti, si parla del posto vuoto, il cambiamento di sguardo della comunità, per cui occorre esercitarsi a sospendere il giudizio. Poco più oltre si parla degli atteggiamenti della comunità cristiana: ascolto, testimonianza, accoglienza.
Ho un figlio gay. Ho conosciuto tante famiglie, ho conosciuto un mondo. C’è qualcuno che ha detto che essere genitori di una persona omosessuale è una fortuna. Per me è una opportunità, perché si riesce a conoscere una realtà che è nascosta. Si dice che le persone (ndr omosessuali) siano 2% al 5%. In una città come Parma dovrebbero essere 14mila. Chiedo a voi: quanti ne conoscete? Ma se non sappiamo chi sono, ne abbiamo paura.
Se leggete i documenti della Chiesa cattolica (24 luglio 1992): «Essa (la Chiesa) è consapevole che l’opinione, secondo la quale l’attività omosessuale sarebbe equivalente, o almeno altrettanto accettabile, quanto l’espressione sessuale dell’amore coniugale, ha un’incidenza diretta sulla concezione che la società ha della natura e dei diritti della famiglia, e li mette seriamente in pericolo» (n. 9).
Nel momento in cui cerchiamo di essere accoglienti e di ascoltare, senza giudicare, se abbiamo al nostro interno questo modo di vedere, il nostro sguardo e l’incontro non sarà mai privo di giudizi.
Quello che mi viene in mente è un recinto di pecore, dove il Signore va a cercare la pecora smarrita che si è persa, è andata via, ma ce ne sono altre appena fuori che vorrebbero entrare, ma siccome hanno colore e caratteristiche diverse non possono. Io credo che il Signore farebbe diversamente.
Quando un ragazzo va da un prete e si sente dire che il suo modo di essere è oggettivamente disordinato, vuol dire che quel ragazzo è sbagliato, indipendentemente dal suo agire, come potrà sentirsi accolto.
La mia speranza è che le nostre comunità siano in grado di accogliere coloro che manifestano, che dicono quello che sono. Perché c’è un altro documento, mai rinnegato, che afferma che non lo devono dire.
Nella nostra diocesi c’è un gruppo (di cristiani omosessuali) che si riunisce , ma l’unica possibilità (di visibilità) è un numero di telefono e l’annuncio (dei loro incontri) su Vita Nuova (ndr il settimanale diocesano). Poi è nata anche una possibilità per le famiglie, di mutuo aiuto, citata sulla Nota pastorale del Vescovo, un avviso su Vita Nuova e poi più niente.
Queste iniziative, sempre in tema di accoglienza, devono essere divulgate, tramite i preti e (ndr il settimanale diocesano Vita Nuova). Perché i preti non lo dicono alle famiglie (Cfr AL 250)? Serve questo incontro tra famiglie (ndr con figli LGBT) perché ci si possa scaricare dal dubbio di avere in casa un mostro. Perché i preti non lo dicono? Dicano che c’è questo gruppo e che queste persone sono accolte perché sono figli di Dio.
Si sente ancora dire che una persona omosessuale deve essere curata, come si diceva per le persone mancine. L’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) ha tolto l’omosessualità tra le forme di malattia mentale il 17 maggio 1990. Dobbiamo dare ragione alla scienza. Il 17 maggio si celebra la Giornata contro l’omofobia. In tutta Italia si celebrano veglie di preghiera (ndr per il superamento dell’omotransfobia). Vi invito alla preghiera …