Sono gay e autistico. Cosa significa questo per la mia fede cattolica?
Articolo di Alex Gick* pubblicato sul sito di Outreach (USA) il 17 aprile 2025, liberamente tradotto da Luigi e Valeria de La Tenda di Gionata
Nota dell’editore: questo articolo è stato originariamente pubblicato nel 2022. Outreach lo ripubblica in seguito ai commenti del Segretario alla Salute e ai Servizi alla Persona Robert F. Kennedy, Jr. rilasciati il 16 aprile 2025, in cui ha definito l’aumento della percentuale di persone con autismo una «epidemia» e ha suggerito che le persone affette da autismo vivono una vita meno realizzata di quelle senza autismo. Questi commenti hanno suscitato la condanna di chi difende e supporta i diritti delle persone con autismo.
Tutte le persone devono confrontarsi con i propri problemi e le proprie sfide. In alcuni casi, si tratta della lotta per affrontare le ingiustizie e la pressione dell’opinione altrui. In altri casi, è il confronto con la rabbia e l’egoismo della gente.
Per me, una sfida che affronto ogni giorno è il fatto di essere autistico e omosessuale. E so che alcune persone che appartengono ai settori più conservatori della Chiesa considerano le persone lesbiche, gay, transgender e bisessuali come un pericolo e una minaccia per l’attuale status quo.
È una prospettiva basata su presupposti errati, che deve essere correttamente valutata da chi la vive quotidianamente sulla sua pelle. Voglio darvi l’opportunità di mettervi nei miei panni.
Il dilemma che devo affrontare è quello di essere fedele a me stesso come membro della comunità LGBT+, pur rimanendo fedele alla mia fede cattolica.
Sono autistico
L’autismo mi è stato diagnosticato in seconda elementare. All’inizio vedevo l’autismo come una maledizione, perché non riuscivo a confrontarmi con certi concetti e certe idee. Questo si collega direttamente alla mia fede cattolica. L’autismo non è qualcosa da ignorare o da cui allontanarsi con disgusto. È uno spettro.
Alcune persone hanno manifestazioni dell’autismo più lievi, altre possono subire effetti gravi. Non è giusto giudicare una persona autistica facendo riferimento a un’altra, perché ogni persona è unica. È certamente vero che io ho le mie personali bizzarrie, ma mi considero una persona con un dono unico, benedetta da Dio. So di poter fare qualcosa di utile, e questo è legato al modo in cui vivo la mia vita di cattolico autistico e omosessuale.
Come afferma padre James Martin, S.J., nel suo libro Becoming Who You Are: «Il desiderio di Dio è che noi siamo così come siamo stati creati: cioè semplicemente e puramente noi stessi, e in questo stato amiamo Dio e ci lasciamo amare da Dio. È un doppio percorso, in realtà: trovare Dio significa lasciarci trovare da Dio. E trovare il nostro vero io significa permettere a Dio di trovare e rivelarci il nostro vero io».
Con l’autismo, ho affrontato molti ostacoli e le persone mi hanno detto che non posso fare nulla di buono nel mondo di oggi. Sebbene le loro critiche mi abbiano fatto a pezzi, alla fine ne sono uscito più forte. E a coloro che dicono che una persona autistica non può essere un sacerdote o un membro di un ordine religioso, dico: «Al diavolo». Non sapete cosa significhi doversi ripetere in continuazione «stai calmo, mantieniti tranquillo, stai concentrato».
Una delle tante qualità che ho grazie all’autismo è la capacità di memorizzare grandi quantità di informazioni, cosa che mi permette di riflettere sul mondo e sui suoi problemi. Uno svantaggio del mio autismo è, ovviamente, che non colgo molto bene le dinamiche sociali.
L’autismo non dovrebbe essere un fattore che influisce sul percorso che Dio vuole che tu faccia nella vita. L’autismo non è una malattia o una maledizione. Non dovrebbe essere una causa di rifiuto costante da parte della Chiesa solo perché la Chiesa non vuole fare lo sforzo di comprendere la persona con questo dono unico dato da nostro Signore.
Quando ho iniziato a fare domanda di ammissione a vari ordini religiosi, ho detto che mi era stato diagnosticato l’autismo e mi hanno sempre risposto: «Non pensiamo che saresti adatto alla vita consacrata perché hai l’autismo». Questa catena di eventi è iniziata con un ordine religioso del Kentucky. Ho avuto contatti con il responsabile delle ammissioni all’ordine per e-mail e quando gli ho detto che ero autistico, la sua risposta è stata: «Non saresti adatto, perché hai l’autismo».
Questo mi ha addolorato e mi ha fatto arrabbiare. E da quel primo incontro ho sperimentato più volte questo rifiuto.
Se un candidato al sacerdozio o alla vita religiosa è autistico, consideratelo come una persona, non come un disabile, e giudicatelo per quello che è, non per esperienze passate o pregiudizi. L’autismo dimostra che ci sono persone che hanno una capacità di amare e comprendere anche maggiore dell’ordinario, e che non sono destinate a rimanere nascoste.
E sono gay
Dall’altro lato della medaglia, ho dovuto affrontare il fatto di essere omosessuale. Questa è stata una lotta lunga una vita, non solo per me, ma anche per le persone che mi sono vicine. Ci sono volute innumerevoli ore di guida spirituale, il sostegno degli amici e delle amiche e il coraggio di guardarmi dentro non solo per capire che ciò che nascondevo mi stava facendo del male, ma anche per rendermi conto che stavo ingannando me stesso.
In questo inganno, la negazione affiorava in superficie, mentre il senso di colpa e la vergogna mi trascinavano a fondo. Pensando che ci fosse qualcosa di sbagliato in me, ho danneggiato non solo i miei rapporti con la famiglia, ma anche con le persone amiche, perché mi sono auto-escluso dal mondo. Scrutando a fondo nella mia anima, sono arrivato a un’importante consapevolezza: essere omosessuale non significa automaticamente essere condannato all’inferno. Semplicemente non c’è altra scelta in questo ambito.
Definisco l’essere gay come provare attrazione per gli uomini e non per le donne. Non ho alcun controllo su come nostro Signore mi ha creato, così come non ho scelto da chi sono attratto. Ho cercato di nascondere il fatto di essere omosessuale nascondendo quella parte di me e negando a me stesso ciò che avevo percepito come un peccato.
Il mio dilemma è che devo comunque conservare la mia fede cattolica, perché è parte integrante di ciò che sono. Di conseguenza, riconosco che anche coloro che dicono di essere miei fratelli e sorelle in Cristo possono discriminarmi semplicemente perché io sono ciò che sono stato creato per essere.
Essere lesbiche, gay, bisessuali e/o transgender non è una malattia. Siamo tutti esseri umani e facciamo parte di un unico corpo: il corpo di Cristo. Ogni membro di questo corpo unico svolge un ruolo fondamentale, nonostante le nostre differenze. Le nostre differenze non devono indurre le persone a metterci ai margini, discriminarci o condannarci. Siamo tutti esseri umani creati da nostro Signore e vogliamo essere amati.
Amatevi l’un l’altro
Una delle frasi più comuni usate per discriminare le persone LGBT+ cattoliche è: «Odia il peccato, ama il peccatore». Questa frase è fonte di sofferenza perché ci fa sentire non amati e non desiderati. Fondamentalmente, non si può amare una persona che allo stesso tempo si giudica. Come afferma papa Francesco, «se una persona è omosessuale e cerca Dio e ha buona volontà, chi sono io per giudicare?».
Per sopravvivere nel prossimo secolo, la Chiesa deve capire e riconoscere che l’amore è amore e che coloro che fanno parte della comunità LGBT+ sono fatti così. Nessuna persona ha chiesto di essere attratta da persone dello stesso sesso; non è assolutamente una scelta. In poche parole, chi vorrebbe essere diverso dalla maggioranza?
Lo stesso vale per chi ha disabilità come l’autismo ad alto e basso funzionamento, la sindrome di Asperger e la sindrome di Down. È ancora peggio quando una persona si trova a dover fronteggiare una discriminazione nella Chiesa non solo per ciò che è, ma anche per chi ama.
Come ho già detto, a causa del mio autismo e della mia identità LGBT+, e probabilmente per entrambe le cose, mi è stata negata la possibilità di accedere a percorsi di servizio pastorale e di guida istituzionale nella Chiesa. Ma credo ancora che tutti noi abbiamo un ruolo importante da svolgere nella vita della Chiesa. Se si taglia fuori una parte del corpo di Cristo, si esclude chi ha bisogno di essere ascoltato. La Chiesa deve bloccare la discriminazione nei confronti dei cattolici LGBT+ e dei cattolici con disabilità. Siamo stati feriti, emarginati e sfregiati nella nostra dignità.
Nel Vangelo di Giovanni (13,34), Cristo dà ai suoi discepoli un comandamento nuovo durante l’ultima cena: «Amatevi gli uni gli altri, come io vi ho amato, affinché anche voi vi amiate gli uni gli altri». Questo passo definisce la comunità LGBT+. Desideriamo semplicemente essere amati e far sentire la nostra voce nella Chiesa.
Essere omosessuale e autistico mi ha formato come cattolico, perché ho capito che questo è ciò che sono, e questa è una delle tante croci che porterò. C’è molto lavoro da fare per costruire ponti tra le persone autistiche, la comunità LGBT+ e i cattolici con visioni diverse. Con la preghiera, la speranza e la fiducia, so che la Chiesa cambierà. Ci sono molte parrocchie in cui i cattolici LGBT+ si sentono a casa e si sentono accolti. Io stesso ho avuto la fortuna di trovarne una. Altri non sono altrettanto fortunati.
La suora carmelitana del XX secolo Santa Teresa di Lisieux diceva: «Non perdete nessuna occasione di fare qualche piccolo sacrificio, qui con uno sguardo sorridente, là con una parola gentile; facendo sempre il più piccolo bene e facendo tutto per amore».
Indipendentemente dall’età, dalla disabilità, dall’etnia, dal genere, dall’orientamento sessuale, siamo tutti esseri umani, creati a immagine di Dio. La Chiesa deve essere il catalizzatore dei diritti umani, non una struttura che opprime. Ecco perché, dando l’esempio come cattolico, vivo la mia vita secondo il credo «L’amore vince tutto».
* Alex Gick è uno studente del Paul Quinn College di Dallas, Texas, e vive a Bowling Green, nel Kentucky. Desidera entrare in seminario.
Titolo originale: I am gay and autistic. What does that mean for my Catholic faith?