Bibbia e omosessualità: impariamo a non giudicare
Riflessioni del pastore valdese Gregorio Plescan tratte dal settimanale Riforma n.48 del 12 dicembre 2008
Sotto un certo punto di vista dobbiamo ammettere che nell’ultimo decennio non abbiamo compiuto (ndr nelle chiese Battiste, Valdesi e Metodiste italiane) delle svolte clamorose rispetto alla nostra linea di pensiero basata sulla responsabilità personale nei confronti dell’etica.
È un percorso che può portare a riconoscere le molte sfaccettature della vita affettiva e nessuno può dire che ce ne sia un’unica ammissibile. Parlare di omosessualità implica interrogarsi sul nostro modo di interpretare la Bibbia: quali «occhiali spirituali» inforchiamo per leggerla? Molti considerano la Scrittura come un «contenitore di ricette» da applicare alla realtà, anche quando essa rispecchia situazioni molto lontane nel tempo, un mondo difficilmente comparabile al nostro.
Invece «conformare la nostra vita alla Bibbia» non significa fingere di vivere al tempo di Gesù, ma fare lo sforzo per accostare le situazioni di cui parla la Bibbia a quelle che sperimentiamo: ammettere che la verità va cercata giorno per giorno, non rivelata una volta per tutte. È un’operazione impegnativa ma utile per affrontare anche altre sfaccettature del rapporto fede e vita, non solo quelle etiche.
Le chiese tendono a presentarsi «sopra le parti», ma in realtà i rapporti che vi si instaurano sono generalmente lo specchio dei valori della società in cui si trovano: anche tra di noi vi sono modi di pensare ai rapporti reciproci basati su leggi non scritte ma vincolanti. Aprirsi a discussioni sull’omosessualità è utile anche a chi non è né gay, né lesbica, perché significa accettare di discutere i diversi modi di concepire la propria esistenza.
Questo cammino è appena iniziato e non compiuto: il giorno in cui impareremo a pensare agli altri come a persone che Dio ha amato e per cui Gesù è morto sulla croce – senza pregiudizi di vario genere – deve ancora arrivare. Ma la parola del vangelo mette l’accento sulla salvezza e non sul giudizio: tutti dobbiamo metterci all’ascolto e a nessuno è permesso di sentirsi «naturalmente nel giusto».